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MARZO 2019

     

Continuiamo a riassumere per il nostro giornalino le catechesi di mons. De Donatis sulla “Gaudete et exultate”-Siamo al terzo incontro con i cristiani di Roma nella Basilica di San Giovanni in Laterano, tenutosi il 10 dicembre 2018 con il titolo

La scala della felicità   GE 65-94 e il sottotitolo

s. Francesco d’Assisi -  Nell’umiltà la grandezza”.

            In questa  catechesi  il Cardinale De Donatis ha commentato i numeri 65-94 della Gaudete et exultate. Si tratta di quella parte del testo nella quale Papa Francesco  esamina sia pure rapidamente, tutte le beatitudini: il Cardinale, come vedremo, ha scelto di soffermarsi solo su tre di esse, approfondendo l’analisi per aiutarci a comprenderle meglio. Egli  ci  ha anzitutto ricordato  che papa Francesco ha spesso parlato della gioia come di un sentimento che dovrebbe caratterizzare la vita di ogni cristiano. In particolare, nella Gaudete et exultate ha sottolineato che  la gioia evangelica si irradia in modo speciale, con una luce e un’intensità ineguagliabili, sul volto dei santi.  Di tutti i santi, non solo di quelli i cui nomi sono scritti nei calendari, ma anche di quelli che per grazia di Dio incontriamo nella vita di tutti i giorni. E’ proprio la gioia della santità  che  Gesù annuncia  nel discorso della montagna, quando elenca le beatitudini, che sono “la carta di identità del cristiano” : in esse infatti, come dice il Papa,  “Gesù ha spiegato con tutta semplicità che cosa è essere santi”. E in esse ci  ha annunciato la possibilità di raggiungere una felicità paradossale che non consiste nella piena realizzazione di sé e dei propri desideri (come pensa il mondo) ma nella  possibilità, che viene accordata gratuitamente, di poter confidare in qualcuno che si china sulle tue feriteche ti accoglie  e ti dona la gioia vera: basta rispondere alla chiamata alla santità che è rivolta a tutti, una chiamata che non è un comando ma un dono. Aggiunge ancora il Cardinale: la santità richiede visione. Dio ama in me in me il santo che sarò. Non è semplice capire questa cosa, perché spesso noi battezzati non abbiamo visione, non sappiamo dove ci porta lo Spirito. Viviamo di eventi, viviamo di estemporaneità, passiamo senza soluzione di continuità da un evento a un altro. Abbiamo cioè uno sguardo breve, limitato all’ immediato. Il Padre, invece, ha su di noi uno sguardo lungo...ci contempla alla luce della sua sapienza...Vede – appunto – il santo che sarò. Possiamo- anzi dobbiamo – anche noi cercare di  comprenderci in una luce diversa: e questa luce sono le beatitudini... che  non sono un semplice insegnamento di Gesù, ma veramente sono il codice di santità del battezzato: chi è rinato in Cristo è così, o meglio è reso così dallo Spirito.  ‘Beati’ vuole appunto dire essere santi. Proviamo, mi permetto di suggerire, a leggere le beatitudini riportate nel Vangelo di Matteo al cap. 5, mettendo al posto della parola ‘beati’ l’espressione ‘Sono santi’ e tutto ci apparirà più chiaro.

            Quando Gesù proclama le beatitudini, in realtà presenta se stesso: è Lui il beato, il povero, l’afflitto, il giusto, il pacifico... Gesù è beato non per un privilegio ma perché è tutto nel Padre, come un figlio portato in braccio. Il santo è il beato, e il beato non è altri che un figlio. La scala della santità inizia dallo scoprirsi figli: ci vuole una vita intera, tutta la vita, ma non è un cammino improvvisato, casuale. C’è un punto di partenza, c’è un passo che ci consente di imboccare la direzione giusta. Sapete qual è? La povertà di spirito. Infatti, la prima delle beatitudini dice proprio:

Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Sono poveri in spirito quelli che non sentono il bisogno di arricchirsi, che non hanno bisogno di alleati potenti, perché si fidano del Padre, confidano in Lui. Sanno di avere un Padre che si china sulla loro povertà. Come Gesù, che  è stato povero perché era certo del Padre. E come San Francesco  che, dopo essersi spogliato delle sue vesti davanti al padre, “Non chiamerò più te, Pietro, padre, ma solo il Padre che è nei cieli”. Esiste quindi, sottolinea De Donatis, un legame indissolubile tra figliolanza e povertà evangelica. Solo gli orfani desiderano arricchirsi. I figli sono esenti da quest’obbligo. E conclude: Ecco la porta di ingresso della santità, la povertà di spirito.

Beati gli afflitti, perché saranno consolati  Per capire questa beatitudine, il Cardinale ci invita a riflettere sull’espressione “saranno consolati” , tenendo presente che nel Nuovo Testamento la consolazione più grande è il dono dello Spirito Santo. Dunque, afflitto allora è chi si accorge di avere bisogno dello Spirito Santo, perché lo Spirito Santo è colui che sana le nostre ferite con il balsamo del suo amore. E ancora:  Quando rimango solo senza nessuno pronto ad aiutarmi, quando faccio esperienza dell’inutilità e del fallimento, allora so che il Padre può darmi la cosa buona per eccellenza, lo Spirito Santo… Questa è la condizione di chi si riconosce peccatore e confida solo nella misericordia. È un afflitto lieto, perché nonostante tutte le cadute Dio continua a “misericordiarlo”. ...Ci affliggiamo di tante cose… e invece dobbiamo imparare a cogliere il senso giusto della vera afflizione, quella evangelica: posso guardare con lucidità le conseguenze dei miei peccati perché c’è un Dio che lucidamente decide di dimenticarli.

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio  Il Cardinale commenta così  questa beatitudine: Il pellegrino che si recava al Tempio di Gerusalemme doveva purificarsi per poi entrare nel recinto del Santo. Allora vedeva lo sgabello del trono di Dio, il Santo dei Santi. Con Gesù questo tempio diventa la persona stessa del Verbo incarnato, e il rito di purificazione l’ascolto della Parola. È puro chi ascolta e mette in pratica, e in tal modo vede finalmente il Regno dello Spirito nel suo cuore. San Gregorio di Nissa nella sua “Omelia” su questa beatitudine scriveva: “Chi si rende puro dalle distrazioni e dalla dissipazione, dalla fretta e dall’ansia di riuscire a tutti i costi, costui vede dentro di sé lo Spirito Santo che gli è stato dato”. Sono puro di cuore, allora, quando scopro che la mia casa è abitata, il mio cuore non è un vuoto che va riempito di cose. E qui, nella lettera, Papa Francesco mette l’accento sulla purezza intesa come rettitudine nelle intenzioni: fare le cose per amore di Dio, e non impegnarsi nelle cose di Dio per amore dell’io. E qui ci vorrebbe un serio esame di coscienza ecclesiale: quante cose belle facciamo, spesso senza visione, ma quante cose compiamo per essere ammirati dagli altri…

Concludendo la sua catechesi, il cardinale De Donatis ha elencato quelle che ha chiamato le misure della santità, tre gradini di una scala verso il dono della felicità evangelica. Beati i poveri: rimani debole, non pensare che quello che stai vivendo sia una sconfitta. Beati gli afflitti: sii lucido, scoperchia il tuo cuore dagli alibi e dalle accuse con dolcezza, e cerca di dirti la verità. Beati i puri: mettiti in ascolto della Parola ogni giorno, e credi che questa Parola elimina la cataratta dall’occhio interiore. È soltanto la Parola che può fare questo, nessun altro intervento chirurgico.

***

            A mons. Frisina era affidato questa volta il compito di parlare di san Francesco, un santo che ha definito straordinario, un santo che ha incarnato le beatitudini. Frisina ha ripercorso le tappe più importanti della vita di Francesco, nato in una famiglia benestante, giovanotto spensierato che amava godersi la vita con gli amici, che voleva diventare cavaliere, che vive una dura esperienza quando  viene fatto prigioniero nella guerra contro i perugini: se non fosse stato per i soldi di papà forse non ne sarebbe uscito vivo. Lui che cercava la felicità torna sconfitto ad Assisi e dopo un po’ pensa di partire per la crociata, sempre con l’idea di diventare cavaliere, ma arriva solo fino  a Spoleto, perché si ammala e deve tornare indietro. Comincia a capire che non in quel modo poteva raggiungere la felicità: finisce con il mettersi in ginocchio – siamo nel 1205 – davanti al Crocifisso di San Damiano e lì ode la voce di Dio che gli affida il compito di riparare la sua casa in rovina. Ricostruisce la chiesetta, poi scopre i lebbrosi, li frequenta e li assiste. Il padre, disperato perché questo figlio fa cose strane, chiede aiuto al vescovo, ma Francesco compie nella piazza di Assisi, il gesto incredibile della spoliazione: si toglie tutti gli abiti, per dire che rinuncia a tutto,che ormai non ha più bisogno di nulla, ha scoperto che ha già tutto perché ha trovato il Signore : ora è veramente libero e finalmente felice, di una felicità contagiosa. Sono molti  - fra i tanti anche Chiara - che lo seguono, come lui pazzi d’amore. Si reca allora da papa Innocenzo III per chiedergli il permesso di continuare a vivere in quel modo, nella povertà più assoluta, predicando, cantando e chiedendo l’elemosina per vivere. E il Papa, che ha sognato un giovane che sulle sue spalle sosteneva la basilica di San Giovanni, capisce che è  a lui, a Francesco, che il sogno si riferisce, e concede l’approvazione. Francesco ama la Chiesa, anche se ne riconosce i difetti e le incoerenze, la ama e vuole essere obbediente, per questo si rivolge al papa.  Qualche anno dopo va – a piedi – in Terra santa: vuole mettere fine alle Crociate. Parla con il Sultano che rimane affascinato da Francesco, ma non ha comunque nessuna intenzione di rinunciare alle sue pretese né tanto meno di convertirsi e quindi la missione fallisce. Francesco torna ad Assisi. Dice  mons.Frisina:

Ammalato, stanco, deluso, preoccupato, abbandonato anche da molti dei suoi frati, Francesco scrive il suo cantico di lode e di gioia più grande, il “Cantico delle creature”, in cui ringrazia Dio anche di “sora nostra morte corporale”. Tutto diventa bello per Francesco, tutto è dono di Dio. Il Signore lo sa al punto tale da farsi come lui, ovverosia Gesù diventa Francesco e Francesco diventa Gesù: le stimmate sulla Verna sono uno “scambio ammirabile”. Cristo e Francesco non si distinguono più, e Francesco porta le piaghe di Cristo, ed è bello pensare che Cristo porti Francesco con sé. Sono una cosa sola

Francesco muore a quaranta anni, nel 1226 : aveva bruciato la sua vita amando e gioendo, testimoniando i suoi valori: la fraternità gioiosa, l’umiltà come libertà da tutte quelle cose che il mondo ci propina come bene, come felicità, la povertà che è anzitutto atteggiamento del cuore, l’amore per le creature, perché tutte le creature parlavano di Dio, gli dicevano come era Dio, l’atteggiamento verso il diverso cui andare incontro senza diffidenze o paure. In ultimo, Frisina consiglia di leggere i Fioretti   perché ci parlano del cuore di Francesco, ci aiutano   a tornare  alla semplicità di Francesco, a quella Perfetta Letizia che nasce dalla libertà di chi crede e ama e sa che la Croce salva, mentre tutto il resto è – come si dice a Roma – ‘na sola…

                                                                                                                                              A cura  di Antonella

Attività della Diocesi

-  11 marzo 2019, Catechesi del cardinale vicario Angelo De Donatis su "Guadete et exsultate" nella basilica di San Giovanni in Laterano (alle ore 19.00): “Oranti e comunicanti” - GE 140-157. beato Charles de Foucault, “Portare il Signore in mezzo ai fratelli

-  Per i parrocchiani di San Barnaba: dal 1 al 4 aprile alle ore 21.00 : esercizi spirituali predicati da mons. Gianpiero Palmieri, vescovo del settore Est

 

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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