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FEBBRAIO 2013

     

 

Quinto Comandamento:

“Non uccidere”.

Dal II° Vol. di M. Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato” -Ed.CEV

ABRAMO E ISACCO

Gesù: «"Non ammazzare" è detto. A quale dei due gruppi di co­mandi appartiene questo? "Al secondo" dite voi? Sicuri? Vi chiedo ancora: è peccato che offende Dio o il colpito? Voi dite: "Il colpito"? Anche di questo ne siete sicuri? E ancora vi do­mando: non è che peccato di omicidio? Uccidendo non fate che questo unico peccato? "Questo solo" dite? Nessuno ne ha dub­bio? Dite a voce alta le vostre risposte. Uno parli per voi tutti. Io attendo». E Gesù si china ad accarezzare una bambinella che è venuta vicino a Lui e che lo guarda estatica, dimenticando persino di rosicchiare la mela che la madre le ha dato per tenerla quieta. Si alza un vecchio imponente e dice: «Ascolta, Maestro. Io sono un vecchio sinagogo e mi hanno detto di parlare per tutti. Parlo. Mi sembra, e ci sembra, di avere risposto secondo giusti­zia e secondo quanto ci hanno insegnato. Appoggio la mia si­curezza al capo della legge sull'omicidio e le percosse. Ma Tu lo sai perché siamo venuti: per essere ammaestrati, riconoscen­do in Te sapienza e verità. Se dunque io sbaglio, illumina la mia tenebra acciò il vecchio servo vada al suo Re vestito di lu­ce. E, come con me, fallo a questi che sono del mio gregge e che sono venuti col loro pastore a bere le fonti della Vita», e si in­china, avanti di sedersi, col massimo rispetto. «Chi sei, padre?». «Cleofa, di Emmaus, tuo servo». «Non mio, di Colui che mi ha mandato, perché al Padre va data ogni precedenza ed ogni amore in Cielo, in Terra e nei cuori. Ed il primo a dargli questo onore è il suo Verbo che prende ed offre, sulla tavola senza difetto, i cuori dei buoni co­me fa il sacerdote coi pani della proposizione. Ma ascolta, Cleofa, acciò tu vada a Dio tutto illuminato come è tuo santo desiderio. Nel misurare una colpa occorre pensare alle circostanze che precedono, preparano, giustificano, spiegano la stessa. "Chi ho colpito? Che cosa ho colpito? Dove ho colpito? Con quali mezzi ho colpito? Perché ho colpito? Come ho colpito? Quando ho colpito?": questo si deve chiedere, prima di presen­tarsi a Dio per chiedergli perdono, quello che uccise. Chi ho colpito? Un uomo. Io dico: un uomo. Non penso e non considero se è ricco o se è povero, se è libero o se è schiavo. Per Me non esistono schiavi o potenti. Esistono solo degli uomini creati da un Unico, perciò tutti uguali. Infatti davanti alla maestà di Dio è polvere anche il più potente monarca della Terra. E ai suoi ed ai miei occhi non esiste che una schiavitù: quella del peccato e perciò sotto Satana. La Legge antica distingue i liberi dagli schiavi e sotti­lizza fra l'uccidere di un colpo e l'uccidere lasciando sopravvi­vere un giorno o due, e così se la donna incinta è condotta a morte per la percossa, o se ucciso è solo il suo frutto. Ma questo fu detto quando la luce della perfezione era ancora lontana. Ora è fra voi e dice: "Chiunque colpisce a morte un suo simile pecca". E non solo verso l'uomo pecca, ma anche contro Dio. Cosa è l'uomo? L'uomo è la creatura sovrana che Dio ha creato per essere re nel creato, creato a sua immagine e somi­glianza, dandogli la somiglianza secondo lo spirito, e l'immagi­ne traendo questa perfetta immagine dal suo pensiero perfetto. Guardate nell'aria, sulla terra e nelle acque. Vedete forse un animale od una pianta che, per belli che siano, uguaglino l'uo­mo? L'animale corre, mangia, beve, dorme, genera, lavora, can­ta, vola, striscia, si arrampica. Ma non ha favella. L'uomo an­che sa correre e saltare, e nel salto è così agile che emula l'uc­cello; sa nuotare, e nel nuoto è tanto veloce che pare il pesce; sa strisciare e pare il rettile; sa arrampicarsi e pare la scimmia; sa cantare e pare l'uccello. Sa generare e riprodursi. Ma inoltre sa parlare. E non dite: "Ogni animale ha il suo linguaggio". Sì. L'uno mugge, l'altro bela, l'altro raglia, l'altro cinguetta, l'altro gor­gheggia, ma dal primo bovino all'ultimo sempre avranno lo stesso ed unico muggito, e così l'ovino belerà sino alla fine del mondo, e l'asino raglierà come ragliò il primo, e il passero sem­pre dirà il suo corto cinguettio, mentre l'allodola e l'usignolo di­ranno lo stesso inno al sole la prima, alla notte stellata il secon­do, anche se sarà l'ultimo giorno della Terra, così come saluta­rono il primo sole e la prima notte di essa. L'uomo invece, per­ché non ha solo un'ugola e una lingua, ma un complesso di ner­vi che si accentrano nel cervello, sede dell'intelletto, sa afferra­re le sensazioni nuove e pensare su esse e dare ad esse un nome. Adamo chiamò cane il suo amico e leone quello che gli par­ve più somigliante nella chioma folta, ritta sulla faccia appena barbuta. Chiamò pecora l'agnella che lo salutava mite, e disse uccello quel fiore di penne che volava come la farfalla ma di­ceva dolce un canto che la farfalla non ha. E poi, nei secoli, ec­co che i figli di Adamo crearono sempre nuovi nomi, mano ma­no che "conobbero" le opere di Dio nelle creature o che, per la scintilla divina che è nell'uomo, non generarono solo figli ma crearono anche cose utili o nocive ai figli stessi, a seconda che erano con Dio o contro Dio. Sono con Dio quelli che creano e operano cose buone. Sono contro Dio quelli che creano cose malvagie di danno al prossimo. Dio fa le vendette dei figli suoi torturati dal mal genio umano. L'uomo è dunque la creatura prediletta di Dio. Anche se ora è colpevole, è sempre quello a Lui più caro. E testimonia di ciò l'avere mandato il suo Verbo stesso, non un angelo, non un arcangelo, non un cherubino, non un serafino, il suo Verbo, ri­vestendolo della umana carne, per salvare l'uomo. Non ha re­putato essere indegna questa veste per rendere passibile di sof­frire ed espiare Colui che, per essere come Lui purissimo Spiri­to, non avrebbe potuto soffrire ed espiare la colpa dell'uomo. Il Padre mi ha detto: "Sarai uomo: l'Uomo. Io ne avevo fatto uno. Perfetto come tutto ciò che Io faccio. A lui erano destinati una dolce vita, una dolcissima dormizione, un beato risveglio, un beatissimo soggiorno eterno nel mio celeste Paradiso. Ma, Tu lo sai, in esso Paradiso non può entrare ciò che è contami­nato, perché in esso Io-Noi, uno e trino Iddio, abbiamo trono. E davanti ad esso non può stare che santità. Io sono Colui che sono. La mia divina Natura, la misteriosa nostra Essenza non può essere nota che da coloro che sono senza macchia. Ora l'uomo, in Adamo e per Adamo, è sozzo. Vai. Mondalo. Lo vo­glio. Sarai Tu, d'ora in poi, l'Uomo. Il Primogenito. Perché per primo entrerai qui con carne mortale priva di peccato, con ani­ma priva di colpa d'origine. Quelli che ti hanno preceduto sul­la Terra e quelli che ti seguiranno avranno vita per la tua mor­te di Redentore". Non poteva morire che uno che era nato. Io sono nato ed Io morrò. L'uomo è la creatura prediletta di Dio. Ora ditemi: se un padre ha molti figli, ma uno è il suo prediletto, la pupilla del suo occhio, e questo viene ucciso, quel padre non soffre più che se l'ucciso fosse un altro figlio? Ciò non dovrebbe essere, per­ché il padre dovrebbe essere giusto con tutti i suoi figli. Ma av­viene perché l'uomo è imperfetto. Dio lo può fare con giustizia perché l'uomo è l'unica creatura, fra i creati, che abbia comune col Padre Creatore l'anima spirituale, segno innegabile della paternità divina. Uccidendo un figlio al padre, si offende solo il figlio? No. Anche il padre. Nella carne il figlio, nel cuore il padre. Ma ad ambi è data ferita. Uccidendo un uomo, si offende solo l'uomo? No. Anche Dio. Nella carne l'uomo, nel suo diritto Dio. Perché la vita e la morte da Lui solo devono essere date e tolte. Ucci­dere è fare violenza a Dio e all'uomo. Uccidere è penetrare nel dominio di Dio. Uccidere è mancare al precetto d'amore. Non ama Dio chi uccide, perché disperde un suo lavoro: un uomo. Non ama il prossimo chi uccide, perché leva al prossimo ciò che l'uccisore per sé vuole: la vita. Ed ecco che ho risposto alle due prime domande. Dove ho colpito? Si può colpire per via, nella casa dell'aggredito o attirando la vittima nella propria. Si può colpire l'uno o l'altro organo dando sofferenza più grave, e facendo anche due omicidi in uno se si è colpita la donna che ha il seno gravido del suo frutto. Si può colpire per via senza averne intenzione. Un animale che ci prenda la mano può uccidere il passante. Ma allora in noi non c’è premeditazione, mentre se uno si reca, armato di pugnale sotto le ipocrite vesti di lino, nella casa del nemico - e sovente è nemico chi ha il torto di essere migliore - oppure lo invita nella sua casa con segni d'onore e poi lo sgozza e lo getta nella cisterna, allora c'è premeditazione e la colpa è com­pleta di malizia e ferocia e violenza. Se uccido il frutto con la madre, ecco che di due Dio me ne chiederà ragione. Perché il ventre che genera un nuovo uomo secondo il comando di Dio è sacro, e sacra è la piccola vita che in esso matura, alla quale Dio ha dato un'anima. Con quali mezzi ho colpito? Invano uno dice: "Non volevo colpire" quando è andato ar­mato di arma sicura. Nell'ira anche le mani divengono arma, e arma la pietra raccolta per terra, o il ramo strappato alla pian­ta. Ma chi freddamente osserva il pugnale o la scure e, se gli paiono poco taglienti, li affila e poi se li assicura al corpo in modo che non siano visti ma possano essere branditi con faci­lità e va dal rivale così pronto, non può certo dire: "Non c'era in me voglia di colpire". Chi prepara un veleno cogliendo erbe e frutti tossici e ne fa polvere o bevanda e poi la offre alla vitti­ma come spezie o come sincera, non può certo dire: "Io non volevo uccidere.  Ed ora ascoltate, voi, donne, tacite ed impunite assassine di tante vite. E’ uccidere anche staccare un frutto che cresce nel seno perché è di colpevole seme o perché è un germe non volu­to, peso inutile ai vostri fianchi e alla vostra ricchezza. Vi è un solo modo di non avere quel peso: rimanendo caste. Non unite omicidio a lussuria, violenza a disubbidienza, e non crediate che Dio non veda perché l'uomo non vede. Dio tutto vede e tut­to ricorda. Ricordatevelo voi pure.

   Perché ho colpito? Oh! per quanti perché! Dall'improvviso squilibrio che crea in voi un'emozione violenta, quale è quella di trovare il talamo profanato, o il ladro in casa, o un lurido intento a far violenza alla propria figlia fanciulla, al freddo e meditato calcolo di li­berarsi da un testimonio pericoloso, da un che intralcia la via, da uno di cui si aspira il posto o la borsa: questi sono tanti e altrettanti perché. E se ancora Dio può perdonare a chi nella febbre del dolore diviene assassino, non perdona a chi lo divie­ne per avidità di potere o di stima fra gli uomini. Agite sempre bene e non temerete l'occhio di alcuno né la pa­rola di alcuno. State contenti del vostro e non aspirerete all'al­trui fino a divenire assassini per avere ciò che è del prossimo.

   Come ho colpito? Infierendo anche oltre e dopo il primo scatto impulsivo? Ta­lora l'uomo non si può frenare. Perché Satana lo getta nel male come il frombolatore getta la pietra. Ma che direste di una pie­tra che, dopo aver raggiunto il segno, tornasse da sé alla from­bola per essere di nuovo lanciata e tornare a colpire? Direste: "É posseduta da una forza magica ed infernale". Così è l'uomo che dopo il primo desse un secondo, un terzo, un decimo colpo, sen­za che la sua ferocia cada. Perché l'ira cade e subentra ragione subito dopo il primo impeto, se è impeto che viene da ancora giustificabile motivo. Mentre la ferocia aumenta, più la vittima è colpita, nel vero assassino ossia nel satana che non ha, non può avere pietà del fratello perché, essendo satana, è odio.

   Quando ho colpito? Nel primo impeto? Dopo che questo è caduto? Fingendo perdono mentre è sempre più lievitato il rancore? Ho atteso forse degli anni a colpire per dare doppio dolore uccidendo il padre attraverso i figli? Voi vedete che ammazzando si offende il primo e il secondo gruppo di comandi. Perché vi arrogate il diritto di Dio e per­ché conculcate il prossimo. Peccato dunque contro Dio e con­tro il prossimo. Fate non solo un peccato di omicidio. Ma fate peccato di ira, di violenza, di superbia, di disubbidienza, di sa­crilegio, e talora, se uccidete per rubare un posto o una borsa, di cupidigia. Né, ve lo dico appena, ma ve lo spiegherò un altro giorno meglio, né si pecca di omicidio solo con l'arma e il vele­no. Ma anche con la calunnia. Meditate. E ancora vi dico: il padrone che, percuotendo uno schiavo, lo fa con l'astuzia che non gli muoia fra le mani, è doppiamen­te colpevole. L'uomo schiavo non è denaro del padrone: è ani­ma del suo Dio. E maledetto in eterno sia colui che lo tratta peggio del bue». Gesù sfavilla e tuona. Tutti lo guardano stupiti, perché pri­ma parlava pacato. «Maledetto sia. La Legge nuova abolisce questa durezza, che era ancora giustizia quando nel popolo d'Israele non erano ipocriti che si fingono santi e aguzzano l'ingegno solo per sfruttare e eludere la Legge di Dio. Ma ora in cui Israele trabocca di questi viperini esseri, che il libito lo fanno lecito solo perché essi sono essi, miserabili potenti che Dio guarda con odio e schifo, Io dico: ciò non è più. Cadono gli schiavi sui solchi o alle macine. Cadono con le ossa frante e i nervi denudati dai flagelli. Li accusano, per po­terli colpire, di menzogneri delitti per giustificare il proprio sadismo satanico. Persino il miracolo di Dio si usa come accu­sa per avere diritto di colpirli. Né la potenza di Dio, né la san­tità dello schiavo converte la loro anima bieca. Non può essere convertita. Il bene non entra dove è saturazione di male. Ma Dio vede e dice: "Basta!". Troppi sono i Caini che uccidono gli Abeli. E che credete, immondi sepolcri dall'esterno imbiancato e coperto dalle paro­le della Legge, e dall'interno in cui passeggia re Satana e pul­lula il satanismo più astuto, che credete? Che sia stato Abele solo il figlio d'Adamo e che il Signore guardi benigno solo co­loro che schiavi d'uomo non sono, mentre rigetti da Sé l'unica offerta che può fare lo schiavo: quella della sua onestà condita di pianto? No, che in verità vi dico che ogni giusto è un Abele, anche se carico di ceppi, anche se morente sulla gleba o san­guinante per le vostre flagellazioni, e che sono Caino tutti gli ingiusti che danno a Dio per orgoglio, non per culto vero, che danno ciò che è inquinato del loro peccare e macchiato di san­gue. Profanatori del miracolo. Profanatori dell'uomo, uccisori, sacrileghi! Fuori! Via dal mio cospetto! Basta! Io dico: basta. E dire lo posso perché sono la divina Parola che traduce il Pen­siero divino. Via!». Gesù, ritto sulla sua rozza predella, è spaurente tanto è im­ponente. Col braccio destro teso ad accennare la porta d'usci­ta, gli occhi che sono due fuochi d'azzurro, sembra fulminare i peccatori presenti. La piccolina ai suoi piedi si mette a piange­re e corre dalla mamma. I discepoli si guardano stupiti e guar­dano a chi va l'invettiva. La folla pure si gira, con occhio in­terrogativo. Finalmente ecco spiegato l'arcano. In fondo, fuori della porta, seminascosto dietro un gruppo di alti popolani, si mo­stra Doras. Ancor più secco, giallo, grinzoso, tutto naso e baz­za. Ha con lui un servo che lo aiuta a muoversi perché pare mezzo accidentato. E chi lo aveva visto là in mezzo alla corte? Osa parlare con la sua voce chioccia: «A me dici? Per me?». «Per te, sì. Esci dalla mia casa». «Esco, Ma presto faremo i conti, non dubitare». «Presto? Subito. Il Dio del Sinai, te l'ho detto, ti attende». «Anche Tu, malefico, che hai fatto venire addosso a me i malanni e gli animali nocivi nelle terre. Ci rivedremo. E sarà la mia gioia». «Sì. E non vorrai rivedermi. Perché Io ti giudicherò». «Ah! Ah! Maled…». Annaspa, gorgoglia e cade. «É morto!», urla il servo. «E’ morto il padrone! Che Tu sia benedetto, Messia, nostro vendicatore!». «Non Io. Dio, Signore eterno. Nessuno si contamini. Solo il servo pensi al suo padrone. E sii buono col suo corpo. Siate buoni, voi tutti, suoi servi. Non tripudiate con astio per il col­pito, onde non meritare condanna. Iddio e il giusto Giona vi siano sempre amici, ed Io con loro. Addio». «Ma è morto per tuo volere?», chiede Pietro. «No. Ma il Padre entrò in Me... É un mistero che non puoi capire. Sappi solo che non è lecito colpire Iddio. Egli da Sé si fa le vendette». «Ma non potresti allora dire al Padre tuo di fare morire tut­ti quelli che ti odiano?». «Taci! Tu non sai di che spirito sei! Io sono Misericordia e non Vendetta». Si accosta il vecchio sinagogo: «Maestro, Tu hai risolto tutte le mie domande, e la luce è in me. Sii benedetto. Vieni nella mia sinagoga. Non ricusare ad un povero vecchio la tua parola». «Verrò. Va' in pace. Il Signore è con te». Mentre la folla se ne va piano piano, tutto finisce.”

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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