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NOVEMBRE 2011

     

II COMANDAMENTO: NON NOMINARE IL NOME DI DIO INVANO

 

IL NOME

            Il nome è più di un vocabolo, di una parola che indica un oggetto o una persona. Il nome ci identifica, ci connota. Perciò, in un contesto sociale è necessario avere un nome, avere una carta di identità, un luogo di residenza.

            Tutti siamo suscettibili e facciamo attenzione a come viene usato il nostro nome, proprio perché ciò che si riferisce a quel nome si riferisce a noi stessi.

            Quando la nostra presenza è stata avvertita nel seno materno, subito i nostri genitori hanno pensato al nome da darci. Quel nome ci accompagnerà lungo tutto il percorso della nostra vita.

            Ma prima ancora dei nostri genitori noi eravamo nel pensiero di Dio, che ha infuso nel nostro corpo in formazione un’anima immortale. Da qui la nostra dignità e la nostra grandezza.

            Per Dio non c’è un “prima” e un “poi”: il tempo inteso come sequenza di istanti appartiene alla nostra situazione terrena, che proprio per questo è provvisoria, limitata da un principio e una fine, ma non appartiene alla nostra anima, che è “alito divino” e perciò è immortale. Dio vive l’eterno presente, un’espressione difficile da capire per noi che non ne abbiamo l’esperienza.

            Dio perciò può dire a Geremia:

            «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni». (Ger.1,5).

            Non solo Dio lo conosceva ma aveva fatto un progetto su di lui.

            E sempre per bocca di Geremia, il Signore può dire a Israele:

            “Così dice il Signore: «Ha trovato grazia nel deserto un popolo di scampati alla spada; Israele si avvia a una quieta dimora». Da lontano gli è apparso il Signore: «Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà”. (Ger 31:2-3)

            Anche Dio, fin dall’eternità, ci ha dato un nome:

            “Ora così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha plasmato, o Israele: «Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare; poiché io sono il Signore tuo Dio, il Santo di Israele, il tuo salvatore”. (Is 43:1-3)

            E ancora per bocca di Isaia:

            “Ti consegnerò tesori nascosti e le ricchezze ben celate, perché tu sappia che io sono il Signore, Dio di Israele, che ti chiamo per nome. Per amore di Giacobbe mio servo e di Israele mio eletto io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo sebbene tu non mi conosca”. (Is 45:3-4)

            Ascoltatemi, o isole, udite attentamente, nazioni lontane; il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome. Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all'ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra. Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria».

 (Is 49:1-3)

            Il nome che abbiamo ricevuto dai nostri genitori entra nel dinamismo del nostro tempo, poi, quando anche noi saremo abitanti del Regno eterno, riceveremo un nome nuovo, che corrisponderà alla nostra verità e allora davvero il nostro nome esalterà la nostra gloria o, Dio non voglia, il nostro disonore:

                Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all'infuori di chi la riceve”. (Ap 2,17)

            E ancora nell’Apocalisse: “Sulla fronte aveva scritto un nome misterioso: «Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli abomini della terra»”. (Ap 17,5)

 

IL NOME DI DIO

            Essendo il nome tanto importante è chiaro che tutto ciò che diciamo nei riguardi del nome lo diciamo della persona stessa e quindi non possiamo comportarci con leggerezza.

            Come allora nominare con disprezzo il nome santo di Dio?

            Come si può maledirlo, offenderlo con appellativi indegni, attribuendogli mali che noi stessi ci siamo procurati disprezzando i Suoi consigli, i Suoi comandamenti?

            Come nominarlo in giuramenti falsi o anche veri ma insignificanti, quando la sola parola di fratelli potrebbe bastare?

            Come mettere il nome di Dio solo come intercalare, senza intenzione di inserirlo nella nostra conversazione, che magari tratta argomenti superficiali o addirittura pettegolezzi?

            Se disprezzano la nostra madre, il nostro papà, i nostri fratelli, noi reagiamo offesi e a volte denunciamo l’offensore per diffamazione; a maggior ragione dovremmo farlo quando sentiamo disprezzare il nome santo di Dio.

            La nostra Costituzione condanna la bestemmia «Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità o Simboli o le Persone venerate nella religione dello Stato è punito con l’ammenda da lire ventimila a seicentomila».

Comma primo, come modificato dal Decreto Legislativo n. 507 (1999, versione vigente):

            «Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità è punito con la sanzione amministrativa da lire centomila a seicentomila».

 

I “REQUISITI” DELLA BESTEMMIA

  • L’autore della bestemmia può essere chiunque, anche un ateo;
  • si concretizza nella sua semplice attuazione, indipendentemente dalle reali intenzioni dell’autore;
  • il fatto che sia diventata una consuetudine, o che lo sia in certi ambienti, è irrilevante;
  • devono essere chiaramente individuate le parole profferite;
  • deve avvenire in luogo pubblico o aperto al pubblico; non è illecito quindi bestemmiare nella propria abitazione;
  • devono essere presenti almeno due persone;
  • non rientrano nella fattispecie le rappresentazioni figurate, i gesti, gli atti offensivi;
  • è illecito bestemmiare contro Dio, non contro la Madonna e i santi.

 

L’ANACRONISMO DELLA TUTELA LEGALE DELLA BESTEMMIA

            I recenti interventi della Corte Costituzionale, del Parlamento e del Governo non hanno risolto l’assurdità di una tutela legale della bestemmia.

            Oltre a essere diventata, in alcuni casi, quasi un intercalare, va riaffermato con forza che la bestemmia, al giorno d’oggi, non rappresenta altro che la tutela giuridica di “persone” la cui esistenza è indimostrabile.

            Nei fatti, l’allargamento della fattispecie a tutte le divinità ha in realtà ulteriormente minato la libertà di pensiero e di critica, come è stato fatto notare da più parti.

            Un anacronismo reso ancora più stridente dalla volontà, da parte delle confessioni religiose di minoranza sottoscrittrici di intese con lo Stato, di vedersi tutelate in materia penale esclusivamente in base ai diritti di libertà sanciti dalla Costituzione, e non mediante la tutela specifica del sentimento religioso. La permanenza della bestemmia nel Codice penale - anche se come illecito amministrativo - resta così, ancora oggi, legata a una precisa volontà egemonica.

 

DAL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA (Nn 2142- 2167)

 

Il nome del Signore è santo

            Il secondo comandamento prescrive di rispettare il nome del Signore. Come il primo comandamento, deriva dalla virtù della religione e regola in particolare il nostro uso della parola a proposito delle cose sante.

            Tra tutte le parole della Rivelazione ve ne è una, singolare, che è la rivelazione del nome di Dio, che egli svela a coloro che credono in lui; egli si rivela ad essi nel suo Mistero personale. Il dono del nome appartiene all'ordine della confidenza e dell'intimità. “Il nome del Signore è santo”. Per questo l'uomo non può abusarne. Lo deve custodire nella memoria in un silenzio di adorazione piena d'amore [Cf Zc 2,17]. Non lo inserirà tra le sue parole, se non per benedirlo, lodarlo e glorificarlo [Cf Sal 29,2; Sal 96,2; Sal 113,1-2].

            Il rispetto per il nome di Dio esprime quello dovuto al suo stesso Mistero e a tutta la realtà sacra da esso evocata. Il senso del sacro fa parte della virtù della religione:

            Il sentimento di timore e il sentimento del sacro sono sentimenti cristiani o no? Nessuno può ragionevolmente dubitarne. Sono i sentimenti che palpiterebbero in noi, e con forte intensità, se avessimo la visione della Maestà di Dio. Sono i sentimenti che proveremmo se ci rendessimo conto della sua presenza. Nella misura in cui crediamo che Dio è presente, dobbiamo avvertirli. Se non li avvertiamo, è perché non percepiamo, non crediamo che egli è presente [John Henry Newman, Parochial and plain sermons, 5, 2, pp. 21-22].

            Il fedele deve testimoniare il nome del Signore, confessando la propria fede senza cedere alla paura [Cf Mt 10,32;1Tm 6,12 ]. L'atto della predicazione e l'atto della catechesi devono essere compenetrati di adorazione e di rispetto per il nome del Signore nostro Gesù Cristo.

            Il secondo comandamento proibisce l'abuso del nome di Dio, cioè ogni uso sconveniente del nome di Dio, di Gesù Cristo, della Vergine Maria e di tutti i santi.

            Le promesse fatte ad altri nel nome di Dio impegnano l'onore, la fedeltà, la veracità e l'autorità divine. Esse devono essere mantenute, per giustizia. Essere infedeli a queste promesse equivale ad abusare del nome di Dio e, in qualche modo, a fare di Dio un bugiardo [Cf 1Gv 1,10].

            La bestemmia si oppone direttamente al secondo comandamento. Consiste nel proferire contro Dio - interiormente o esteriormente - parole di odio, di rimprovero, di sfida, nel parlare male di Dio, nel mancare di rispetto verso di lui nei propositi, nell'abusare del nome di Dio. San Giacomo disapprova coloro “che bestemmiano il bel nome (di Gesù) che è stato invocato” sopra di loro (Gc 2,7). La proibizione della bestemmia si estende alle parole contro la Chiesa di Cristo, i santi, le cose sacre. E' blasfemo anche ricorrere al nome di Dio per mascherare pratiche criminali, ridurre popoli in schiavitù, torturare o mettere a morte. L'abuso del nome di Dio per commettere un crimine provoca il rigetto della religione.

            La bestemmia è contraria al rispetto dovuto a Dio e al suo santo nome. Per sua natura è un peccato grave [Cf Codice di Diritto Canonico, 1369].

            Le imprecazioni, in cui viene inserito il nome di Dio senza intenzione di bestemmia, sono una mancanza di rispetto verso il Signore. Il secondo comandamento proibisce anche l'uso magico del nome divino.

            Il nome di Dio è grande laddove lo si pronuncia con il rispetto dovuto alla sua grandezza e alla sua Maestà. Il nome di Dio è santo laddove lo si nomina con venerazione e con il timore di offenderlo [Sant'Agostino, De sermone Domini in monte, 2, 45, 19: PL 34, 1278].

 

Il nome di Dio pronunciato invano

            Il secondo comandamento proibisce il falso giuramento. Fare promessa solenne o giurare è prendere Dio come testimone di ciò che si afferma. E' invocare la veracità divina a garanzia della propria veracità. Il giuramento impegna il nome del Signore. “Temerai il Signore Dio tuo, lo servirai e giurerai per il suo nome” (Dt 6,13).

            Astenersi dal falso giuramento è un dovere verso Dio. Come Creatore e Signore, Dio è la norma di ogni verità. La parola umana è in accordo con Dio oppure in opposizione a lui che è la stessa Verità. Quando il giuramento è veridico e legittimo, mette in luce il rapporto della parola umana con la verità di Dio. Il giuramento falso chiama Dio ad essere testimone di una menzogna.

            E' spergiuro colui che, sotto giuramento, fa una promessa con l'intenzione di non mantenerla, o che, dopo aver promesso sotto giuramento, non vi si attiene. Lo spergiuro costituisce una grave mancanza di rispetto verso il Signore di ogni parola. Impegnarsi con giuramento a compiere un'opera cattiva è contrario alla santità del nome divino.

            Gesù ha esposto il secondo comandamento nel Discorso della montagna: “Avete inteso che fu detto agli antichi: "Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti!". Ma io vi dico: non giurate affatto… sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt 5,33-34; 2153 Mt 5,37 ) [Cf Gc 5,12 ]. Gesù insegna che ogni giuramento implica un riferimento a Dio e che la presenza di Dio e della sua verità deve essere onorata in ogni parola. La discrezione del ricorso a Dio nel parlare procede di pari passo con l'attenzione rispettosa per la sua presenza, testimoniata o schernita, in ogni nostra affermazione.

            Seguendo san Paolo, [Cf 2Cor 1,23; Gal 1,20] la Tradizione della Chiesa ha inteso che la parola di Gesù non si oppone al giuramento, allorché viene fatto per un motivo grave e giusto (per esempio davanti ad un tribunale). “Il giuramento, ossia l'invocazione di Dio a testimonianza della verità, non può essere prestato se non secondo verità, prudenza e giustizia”[Codice di Diritto Canonico, 1199, 1].

            La santità del nome divino esige che non si faccia ricorso ad esso per cose futili e che non si presti giuramento in quelle circostanze in cui esso potrebbe essere interpretato come un'approvazione del potere da cui ingiustamente venisse richiesto. Quando il giuramento è esigito da autorità civili illegittime, può essere rifiutato. Deve esserlo allorché è richiesto per fini contrari alla dignità delle persone o alla comunione ecclesiale.

 

 Il nome cristiano

            Il sacramento del Battesimo è conferito “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19). Nel Battesimo il nome del Signore santifica l'uomo e il cristiano riceve il proprio nome nella Chiesa. Può essere il nome di un santo, cioè di un discepolo che ha vissuto con esemplare fedeltà al suo Signore. Il patrocinio del santo offre un modello di carità ed assicura la sua intercessione. Il “nome di Battesimo” può anche esprimere un mistero cristiano o una virtù cristiana. “I genitori, i padrini e il parroco abbiano cura che non venga imposto un nome estraneo al senso cristiano” [Codice di Diritto Canonico, 855].

            Il cristiano incomincia la sua giornata, le sue preghiere, le sue azioni con il segno della croce, “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen”. Il battezzato consacra la giornata alla gloria di Dio e invoca la grazia del Salvatore, la quale gli permette di agire nello Spirito come figlio del Padre. Il segno della croce ci fortifica nelle tentazioni e nelle difficoltà.

            Dio chiama ciascuno per nome [Cf Is 43,1; 2158 Gv 10,3]. Il nome di ogni uomo è sacro. Il nome è l'icona della persona. Esige il rispetto, come segno della dignità di colui che lo porta.

            Il nome ricevuto è un nome eterno. Nel Regno, il carattere misterioso ed unico di ogni persona segnata dal nome di Dio risplenderà in piena luce. “Al vincitore darò… una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all'infuori di chi la riceve” (Ap 2,17). “Poi guardai ed ecco l'Agnello ritto sul monte Sion e insieme centoquarantaquattromila persone che recavano scritto sulla fronte il suo nome e il nome del Padre suo” (Ap 14,1).

 

IL DISCORSO DELLA MONTAGNA

            Gesù ha detto più volte che non è venuto per abolire la legge ma per completarla e, per ciò che riguarda il secondo comandamento ci ha dato esempio del rispetto amoroso che aveva verso il Padre. Anche quando fare la Sua volontà era veramente straziante come al Getsemani e sulla croce, non si è ribellato ma lo ha invocato perché lo sostenesse nella prova; e sulla Croce, dopo aver espresso la sua più grande sofferenza: l’abbandono del Padre, ha poi rimesso con fiducia la vita nelle Sue mani.

            Egli non solo ha condannato il disprezzo e l’offesa fatta a Dio, cosa molto grave, ma ci ha detto: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna”. (Mt 5:20-22)

            Gesù è Maestro d’amore perfetto verso il Padre suo, che è diventato Padre nostro per il Suo sacrificio redentore. Da Lui dobbiamo imparare il rispetto amoroso e riverenziale dovuto a Padre e stupirci per la Sua bontà misericordiosa, che ha sacrificato il Figlio per poterci riavere.

            L’educazione al rispetto di Dio è uno dei compiti dei genitori e di quanti intervengono nell’educazione dei giovani. I bambini non dovrebbero mai sentire bestemmie o parole di disprezzo verso Dio, la Madonna, i Santi e neanche contro la Chiesa, il Papa, i sacerdoti. Le parole di disprezzo per la Chiesa offendono sempre Dio che l’ha fondata per ilo nostro bene, anche se a volte i ministri si rendono indegni.

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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